DIFFONDERE IL KARATE TRADIZIONALE DI OKINAWA? PURO MECENATISMO!

Articolo a cura di Emanuel Giordano (Yoi magazine, 26/02/24)

Nonostante il Karate di Okinawa abbia dato i natali al Karate giapponese, esso è arrivato in Italia circa 30 anni dopo quest’ultimo, grossomodo nello stesso periodo in cui la “bolla” del Karate stava per scoppiare. Difatti si può dire che la crescita del Karate, in Italia, abbia iniziato a perder colpi - a favore di altre arti marziali e sport di combattimento - tra il 1990 ed il 2000, anni in cui altre discipline iniziavano a prender piede nel panorama marziale italiano. Questo ha ovviamente influito molto sulla sua diffusione nel nostro Paese, rendendolo un’attività di nicchia rispetto al Karate giapponese ed al Karate sportivo. Nonostante fossero gli anni in cui molti appassionati cercavano qualcosa che non fosse Karate o Judo, il Karate di Okinawa non riuscì a farsi notare come la Thai boxe o il Kung fu, inquanto troppo simile al suo “parente” famoso, con il quale condivideva nome ed abbigliamento. Nonostante ciò, negli anni, diverse scuole aprirono sedi anche in Italia, quasi sempre grazie a karateka che avevano studiato all’estero o, addirittura, ad Okinawa, e che speravano di riuscire a diffondere il proprio stile anche in Italia. Alcune di queste realtà hanno avuto un discreto successo, ma la maggior parte dei corsi conta poche decine di iscritti, se non meno.
 
Paradossalmente, nonostante i numeri, che se paragonati a quelli del Karate Shotokan risultano ridicolmente bassi, anche nel microcosmo del Karate di Okinawa italico si sono insidiati dei millantatori e dei veri e propri truffatori, in cerca di gloria e di pecunia, senza un minimo di rispetto o dignità! Essi sono facili da riconoscere, e caderne preda è da sciocchi. 
 
Tornando al Karate di Okinawa, esso non solo si è diffuso poco in Italia, ma lo ha fatto anche in maniera poco omogenea! Il Goju-ryu è lo stile che gode di maggior successo e diffusione, anche grazie al fatto che molti praticanti e maestri di Goju-ryu giapponese (e/o sportivo), nel corso degli anni, sono passati al Goju-ryu di Okinawa, aumentandone così velocemente il numero dei praticanti. Lo Shorin-ryu, invece, non ha avuto le stesse possibilità, ed è molto più raro in Italia. Infatti, nonostante sia lo stile dal quale sono derivati lo Shotokan, lo Shito-ryu (per la parte Shorin) ed il Wado-ryu, le differenze superficiali con questi ultimi sono maggiori rispetto a quelle esistenti tra il Goju-ryu giapponese e quello okinawense, cosa che scoraggia i praticanti dei suddetti stili (quelli insoddisfatti), i quali temono il dover cambiare il proprio modo di praticare. Nei miei corsi, ad esempio, meno del 10% dei praticanti proviene dal Karate giapponese. So che con questo ho sfatato un mito, ma è la realtà dei fatti… nessuno sta cercando di rubarvi gli studenti! L’Uechi-ryu, infine, è il più raro. Ciò è dovuto in parte al fatto che sia arrivato per ultimo, ed in parte ad altre motivazioni che non voglio approfondire in questa sede. 
 
Nonostante il numero complessivo dei praticanti italiani sia in crescita, e nonostante alcune scuole godano indubbiamente di un discreto successo, la situazione generale spiega molto bene che non è assolutamente sensato continuare a fare paragoni numerici con il Karate giapponese, sia per quanto riguarda i corsi, sia per quanto riguarda i seminari. Inoltre, è evidente che chi è in cerca di guadagni economici, o di qualcosa che possa alimentare il suo ego, dovrebbe impegnarsi in altre attività, come i corsi di difesa personale o il BJJ, che negli USA è diventato un vero e proprio fenomeno economico-sportivo senza precedenti, e che nei prossimi anni sfonderà anche in Italia, superando indubbiamente il successo avuto anni fa dal Krav Maga.
 
Portare avanti lo studio e la diffusione del Karate di Okinawa in Italia, oggi, è un’attività svolta principalmente da appassionati e veri e propri mecenati, che investono tempo, pazienza e soldi in nome dell’arte marziale, con il supporto di pochi o di nessuno.
 
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