OSSERVAZIONI SUL MIO DECIMO VIAGGIO AD OKINAWA

Articolo a cura di Emanuel Giordano 

Non ero sicuro di voler scrivere questo breve articolo, ma alla fine mi sono convinto a farlo. Il mio primo viaggio ad Okinawa avvenne nel 2013, e da allora mi sono recato sull’isola dove è nato il Karate almeno una volta all’anno, sempre frequentando solo il mio maestro, il suo dojo, e l’honbu dojo della nostra scuola. Questo fino al 2019, anno in cui mi recai ad Okinawa per tre volte (gennaio, luglio, ottobre), poi ci fu lo stop dovuto alla pandemia, ed alla conseguente chiusura delle frontiere giapponesi. Il caso (o il covid-19) ha voluto che il mio decimo viaggio, un “traguardo” simbolico, avvenisse nel decimo anniversario della mia prima visita e, altra coincidenza, che io soggiornassi nello stesso residence del 2013, dove non avevo più messo piede da allora.
 
Ritornare ad Okinawa lo scorso gennaio, dopo più di tre anni di assenza, è stato molto bello, ma non ho potuto fare a meno di notare molti cambiamenti. Tra i vari cambiamenti spiccava il ridottissimo numero di occidentali presenti a Naha, cosa probabilmente dovuta a molti fattori, tra cui penso che incida il maggiore costo dei biglietti aerei, e la paura di una nuova ondata di covid-19 (la Cina è ad un tiro di schioppo…). Basti pensare che io sono stato il primo membro delle sedi occidentali ad allenarmi presso il nostro hobu-dojo dall’inizio della pandemia! 
 
Il businness del cemento, il quale si basa sull’abbattimento di edifici considerati sacrificabili, e sulla loro sostituzione con degli ecomostri gargantueschi, non si è preso soste nemmeno durante questo periodo, stravolgendo l’aspetto di alcune zone a me familiari e, talvolta, incidendo sulla mia capacità di orientarmi tra le strade di Naha. 
 
Sebbene le persone, prese singolarmente, siano sempre molto cortesi, anche quando si tratta di sconosciuti, la popolazione, in generale, ha adottato comportamenti prima rari e più maleducati. Un tempo era molto raro vedere pedoni/ciclisti attraversare con il rosso, o fuori dalle strisce, esattamente come era raro sentire suonare i clacson, specialmente in coda al semaforo, per sollecitare il veicolo davanti a partire celermente. Cose normali da noi, ma che prima, a Naha, le si poteva vedere fare solo agli stranieri. Ovviamente questi fenomeni, così come una micro (ma proprio micro) criminalità, erano già osservabili nella parte centrale dell’isola (Chatan, Ginowan, Yomitan, ecc), la cui popolazione è “occidentalizzata” a causa del contatto continuo con la popolazione americana che vive nelle basi militari. Secondo alcuni la spiegazione di ciò risiede nell’immigrazione di persone che vivevano nelle grandi città del Giappone “continentale”, e che hanno deciso di trasferirsi nella più tranquilla Naha, portandosi dietro, però, anche un pacchetto di brutte abitudini.
 
I giapponesi si sono affezionati all’uso della mascherina, anche in macchina da soli. Sebbene anche in tempi non sospetti l’uso delle mascherine fosse moderatamente diffuso sui mezzi pubblici, oggi è quasi impossibile vedere un giapponese privo della mascherina, anche quando si trova in spiaggia da solo. Pare che il governo abbia fatto delle campagne pubblicitarie per un graduale ritorno alla normalità, ma che la popolazione preferisca, comunque, continuare ad indossare le mascherine in ogni dove. La cosa buffa è che in molti dojo, dove forse servirebbe di più, non viene utilizzata.
 
Venendo al Karate, ogni mia visita al mio maestro ed ai miei compagni di dojo è sempre motivo di gioia per ambo le parti. Alcune persone non ci sono più, altre sono arrivate in questi anni in cui sono stato forzatamente assente, e questo ha portato ad un cambiamento nell’atmosfera del dojo, ma non ne ha cambiato lo spirito. Maeshiro sensei, nonostante l’età (classe 1945), continua tutt’ora a migliorare il suo Karate, sempre in linea con la ricerca di gesti naturali e non forzati, tipici dello Shorin-ryu. Anche questa volta ho imparato molto, curando dettagli e smussando gli angoli. 
 
Quello che mi ha colpito negativamente, invece, rigurda la linea d’azione intrapresa da una delle quattro grandi federazioni dell’isola, la quale sta trasformando il Karate ed il Kobudo in merci da vendere. Questa federazione è composta, salvo alcune eccezioni, da scuole che hanno pochi membri e dojo ad Okinawa, ma tante filiali all’estero, dove sono molto famose, e dove, di conseguenza, i loro maestri sono molto conosciuti al pubblico. Senza scendere nei dettagli, seminari (solo con voli in businness class), affiliazioni ed esami, per queste scuole, sono diventati molto lucrativi. Fortunatamente la scuola di cui faccio parte non è affiliata a tale federazione, ma temo che altri possano seguire questo triste esempio in futuro, puntando ad un Karate/Kobudo di quantità e non di qualità.
 
Concludo ringraziando la piccola comunità italiana, che sempre mi supporta, e con la quale condivido sempre bei momenti! Ogni nostro incontro è una piccola festa, come quando le famiglie si riuniscono per celebrare qualche ricorrenza speciale.
 
Purtoppo il mio decimo viaggio è durato pochi giorni (10, giusto per terminare con un’altra coincidenza), e non ho avuto il tempo di far visita a tutte le persone che avrei voluto rincontrare, ma spero di poter nuovamente tornare ad Okinawa entro la fine di quest’anno, magari per un soggiorno più lungo.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI POTETE LEGGERE:
"Karate no buyuden 2 - la storia eroica del Karate, parte seconda" (clicca qui)
 
"Karate no buyuden - la storia eroica del Karate" (clicca qui)
 
"Karate Shorin-ryu: kata parte 2" (clicca qui)

 
"Karate Shorin-ryu: kata" (clicca qui)
 

"Karate Shorin-ryu: L'eredità delle guardie del re di Okinawa" (clicca qui)

"Storie di Okinawa: spiriti, magia e leggende dell'isola giapponese" (clicca qui)

"La leggenda dei maestri di Karate di Okinawa. Biografie, curiosità e misteri"  (clicca qui)

"Manuale del Karate e del Kobudo di Okinawa" (gratis qui)