RITORNO AL PUGNO DEFINITIVO

Articolo a cura di Emanuel Giordano  (Yoi magazine, 05/03/24)

Quando si comincia a praticare Karate, ci si concentra sul come eseguire i passi e su come eseguire le tecniche più semplici, come gli tsuki. Parlando degli stili che derivano dallo Shuri-te, le prime forme che si incontrano sul proprio percorso sono i kata fondamentali, che a seconda dello stile possono prendere diversi nomi. Nello Shorin-ryu sono i Kihon kata, nello Shotokan (JKA, Shotokai, ecc) e nello Shito-ryu i Taikyoku kata, ecc. Col passare del tempo, i praticanti iniziano a studiare altri kata - forma, bunkai, applicazione - come i Pinan/Heian ed i Naihanchi/Tekki, iniziando a cimentarsi in tecniche e movimenti più articolati con i primi, ed a sviluppare radicamento e forza esplosiva con i secondi (non a caso definiti Tanren kata). Successivamente si studiano i kata più complessi, nonché le loro varie applicazioni. Tuttavia molti praticanti, col passare degli anni, tendono ad abbandonare tutti questi kata, concentrandosi solo su quelli più avanzati. 
 
Molti grandi maestri, invece, nonostante i gradi e l' età, praticano quotidianamente tutti i kata, cominciando proprio dai Kihon kata / Taikyoku kata e dai Tanren kata. Perché? Sebbene sia giusto e importantissimo avanzare nella propria pratica, ed ampliare il proprio bagaglio tecnico, non dobbiamo mai dimenticare l'importanza delle basi e delle fondamenta. Continuare a praricare i kata più semplici, infatti, permette di concentrarsi maggiormente su di questi aspetti, migliorandoli, e gli effetti di questa pratica si ripercuotono poi in maniera automatica su tutto il nostro Karate. L' allenamento con i kata basilari ed i Tanren kata - nonché con il makiwara - aiuta lo sviluppo del kime nelle tecniche e negli ashi-sabaki (passi e spostamenti con le gambe), riportando il praticante esperto verso la ricerca dell'Ikken hisatsu.
 
Difatti è inutile conoscere mille applicazioni / tecniche di kumite, nonché decine di punti di pressione, se poi non si è in grado di metterle in pratica colpendo e muovendosi con efficacia. Attenzione però! Il principio dell' Ikken hisatsu è stato spesso male interpretato, portando molti praticanti a pensare che un colpo solo, con conseguente momentanea "cementificazione" del corpo, fosse sufficiente ad abbattere un avversario. Sebbene ciò sia possibile, non è detto che funzioni sempre, mentre il momentaneo irrigidimento di tutto il corpo è sempre sbagliato! Complice di questa interpretazione errata è stata la moderna (anni '50 - anni '60) introduzione dei kiai nei kata, portando molti karateka a pensare che in tutto il kata ci fossero solo 1-2 tecniche definitive. Nello Shorin-ryu più tradizionale i kiai sono brevissimi e muti, e sono presenti in ogni singola tecnica del kata (fanno eccezione le esibizioni, dove si adotta il singolo o doppio kiai moderno, cioè urlato), inquanto ogni tecnica deve essere eseguita con il principio dell'Ikken hisatsu, sia essa un atemi o una difesa. Ne consegue che anche nel combattimento (difesa personale) ogni tecnica vada eseguita secondo questo principio, pur mantenendo la fluidità ed evitando rigidità superflue. 
 
Perché però quando si parla di Ikken hisatsu si tende a pensare immediatamente agli tsuki? In realtà questo non è del tutto errato, inquanto la tecnica di pugno è tipica delle arti marziali okinawensi (Yabu, 1915) e, quindi, dello Shuri-te. Inoltre, sebbene ogni tipo di tecnica si possa eseguire con questo spirito (le uke-waza possono essere usate anche per colpire gli arti degli avversari), gli atemi più utilizzati sono indubbiamente le tsuki-waza, seguite dalle keri-waza e dalle uchi-waza (tetsui, uraken, hijiate, shuto, ecc). È quindi un processo naturale quello che porta i praticanti esperti, dopo un lungo e ricco viaggio, e dopo aver imparato molte tecniche di combattimento, a ritornare alla basi, alla sorgente, cercando lo sviluppo del pugno definitivo.
 
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