I PUNTI DI PRESSIONE NEL KARATE

Articolo a cura di Manuel Vignola

Il tema del “kyusho” 急所 al giorno d’oggi è molto sentito nell’ambiente delle arti marziali, soprattutto di quelle giapponesi, vuoi perché recentemente la sua diffusione si è sviluppata con una sua “identità” separata, vuoi perché viene vista come una pratica “complementare” a praticamente tutte le arti marziali orientali, e l’opinione pubblica è solitamente divisa tra chi lo considera un metodo “innovativo” ed estremamente efficace di difesa personale, e chi lo considera un retaggio delle vecchie arti marziali, inutilizzabile al giorno d’oggi in un combattimento data la sua natura un po' troppo “mistica”(molti cartoni animati e film hanno contribuito a questa fama, basti pensare a “Ken il Guerriero”, “Kill Bill”, ecc). 

Partendo dal principio, che cosa si intende per “kyusho-jutsu” 急所術? Trattasi di una parola in lingua giapponese che indica un sistema per destabilizzare un avversario, colpendolo in determinati punti del corpo umano con modi e tecniche diverse, causando una serie di disfunzioni fisiche, talvolta anche gravi. In realtà l’uomo ha sempre cercato, in combattimento, di individuare i punti deboli dell’avversario per vincere uno scontro nel minor tempo possibile, tuttavia in questo caso il concetto è molto più complesso del “colpire i punti ritenuti più vulnerabili”, come viso e genitali. La sua storia è molto antica: già nell’India antica i marma, i punti di pressione, erano considerati l’apice dell’arte marziale del Kalarypaiattu, e lo studio dei punti di pressione dall’India sarebbe passato alla Cina, dove sarebbe nata l’agopuntura e dove l’utilizzo di queste tecniche  sarebbe stato conosciuto come Dim Mak o Dim Hsueh, entrando nel novero delle conoscenze più mistiche e avanzate dei vari stili di Kung fu cinese, sia quelli considerati più “esterni”, come molti stili originatisi nel Monastero Shaolin nell’Henan, sia forse ancor di più nei cosiddetti “stili interni”, che la tradizione attribuisce alla figura leggendaria del monaco taoista Zhang Sanfeng dei Monti Wudang. 

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A sx Funakoshi Gichin sensei, a dx Maeshiro Morinobu sensei, entrambi mentre "stimolano" i punti di pressione situati sul collo dell'avversario.

Dalla Cina queste conoscenze si diffusero nel Sud Est Asiatico, e in Giappone entrarono a fare parte delle conoscenze avanzate dei vari stili di Jujutsu e Aikijutsu, divenendo note con il nome appunto di kyusho. Nelle arti marziali okinawensi, come il Karate, i punti di pressione vengono invece tutt’ora chiamati chibu nigakiree. Molto spesso l’utilizzo dei punti di pressione è abbinato alle tecniche di manipolazione articolare, per amplificarne l’efficacia (Qin Na in cinese, Tuite in giapponese, Tuidi in okinawense). La disciplina è estremamente vasta e complessa nel suo insieme, richiedendo uno studio approfondito della medicina tradizionale cinese, la teoria dei meridiani e del flusso del Qi/Ki, la localizzazione dei punti anatomici, il modo corretto di colpirli ecc, tuttavia si può semplificare il concetto molto semplicisticamente: il Qi è considerata una forma di energia che, scorrendo attraverso una serie di meridiani, garantisce il regolare funzionamento dei vari organi interni e quindi del corpo umano. Ogni qualvolta si verifica una perturbazione di questo flusso insorge una “malattia”, e l’agopuntura ha il compito di stimolare certi punti per  consentire al Qi di tornare a fluire liberamente; gli attacchi ai punti di pressione hanno invece lo scopo inverso, causare una disfunzione del flusso del Qi per causare di conseguenza una “malattia”. 

Con l’esperienza e il tempo i praticanti di arti marziali studiarono questi concetti e misero a punto una serie di tecniche per colpire diversi punti del corpo, riuscendo a catalogarli in vari modi, a seconda delle scuole. Per facilitare l’apprendimento di questi ed altri concetti crearono le cosiddette “forme” (kata in giapponese, taolu in cinese), di modo che la loro conoscenza venisse trasmessa ai posteri, in modo discriminato, infatti per comprendere come utilizzarle erano necessari anni di pratica sotto un Maestro esperto che potesse aiutare l’allievo, se meritevole, a decodificare i movimenti; tale metodo aveva anche l’effetto di mantenere il segreto dei sistemi di combattimento in circoli chiusi, ed è per questo che, per esempio ad Okinawa, i kata sono sempre stati custoditi gelosamente dai Maestri del passato. Per accedere ai segreti della scuola non era necessario conoscere solo la forma esteriore, bensì avere le chiavi di decodifica dei singoli movimenti, e ad ogni livello dell’allievo corrispondeva un determinato livello di conoscenza su uno stesso movimento. Ad esempio Chosin Chibana, noto Maestro di Karate di Okinawa Shorin ryu, in più di una intervista dice chiaramente che il suo Maestro Anko Itosu su uno stesso movimento utilizzava tre chiavi di lettura: dapprima difesa e poi attacco, in seguito attacco e difesa simultaneamente, infine l’utilizzo di tecniche di leve, strangolamenti e punti di pressione in un crescendo di efficacia, quest’ultimo livello conservato dai Maestri come un vero “tesoro”, come si può desumere dall’autentica venerazione che costoro riservavano al “Bubishi”, un testo popolare tra gli artisti marziali di fine 1800 che metteva in relazione arti marziali cinesi, rimedi medicinali tradizionali, teoria del Qi e dei punti di pressione. 

Queste conoscenze sono sempre state tramandate dalle arti marziali tradizionali, tuttavia il “boom”della disciplina solitamente si fa risalire alla seconda metà del 1900, periodo in cui, dopo essersi trasferito da Okinawa negli Stati Uniti su richiesta di diversi suoi allievi americani, dislocati ad Okinawa alla fine della II° Guerra Mondiale, un Maestro di karate, Seiyu Oyata, iniziò a diffondere queste conoscenze e questi termini al grande pubblico con esibizioni e seminari. Da quel momento in poi, sebbene abbia contribuito enormemente alla diffusione e alla preservazione di queste pratiche, si sono avuti anche effetti deleteri, tra cui il proliferare di soggetti che, per denaro e pubblicità, si sono esibiti in “spettacoli” a dir poco surreali, causando una pesante disinformazione e sospetto sulla materia, unitamente al fatto che questa disciplina ha cominciato ad essere insegnata come arte “a parte” invece che come apice della conoscenza in un’arte marziale, e insegnare solo una parte di un’arte sganciandola da tutto il resto ovviamente è come leggere un libro leggendo la fine ed ignorando quanto viene prima, avendo di conseguenza una conoscenza estremamente lacunosa. 

Ad Okinawa queste conoscenze continuano ad essere insegnate quando un allievo viene ritenuto idoneo, e sono patrimonio di tutti gli stili tradizionali: dello Shorin ryu, del Goju ryu, dello Uechi ryu, ecc, e nessuno di questi può rivendicare un'esclusiva. Si tratta di conoscenze che non sono mai andate perdute. Perciò, quando qualche "maestro" dichiara che lo studio dei punti di pressione è materiale esclusivo di alcune rare scuole (magari nate in occidente), sta solo facendo una grande campagna di marketing.

Per maggiori informazioni potete leggere:
"Karate Shorin-ryu: kata parte 2" (clicca qui)

 
"Karate Shorin-ryu: kata" (clicca qui)
 

"Karate Shorin-ryu: L'eredità delle guardie del re di Okinawa" (clicca qui)

"La leggenda dei maestri di Karate di Okinawa. Biografie, curiosità e misteri"  (clicca qui)

"Manuale del Karate e del Kobudo di Okinawa" (gratis qui)